sabato 14 novembre 2015

CODICI COMPORTAMENTALI e DIRITTI FONDAMENTALI

SUL “CODICE COMPORTAMENTALE” DEI COMUNI
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La liceità delle critiche, anche feroci e anche pubbliche, dei lavoratori e degli attivisti sindacali nei confronti del datore di lavoro (anche Ente pubblico) trovano la loro giustificazione normativa nel comma 1 dell’art. 51 del codice penale, ossia nell’esercizio di un diritto, che a sua volta richiama la generica libertà di manifestazione del pensiero di cui all’art. 21 della Costituzione e la specifica libertà di opinione dell’art. 1 dello Statuto dei lavoratori, legge 300/70.
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ART. 51 CODICE PENALE
«L'esercizio di un diritto o l'adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità. » (eventualmente prevista da qualunque altra norma contraria. Figuriamoci da un codice di condotta...)
ARTICOLO 21 DELLA COSTITUZIONE
«Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.» (diritto esercitabile senza alcuna possibilità di prevederne la punibilità)
L. N. 300/70 – STATUTO DEI LAVORATORI
Della libertà e dignità del lavoratore - Art. 1. - Libertà di opinione.
«I lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero, nel rispetto dei principi della Costituzione e delle norme della presente legge.» (Non certo dei codici di comportamento comunali che hanno dignità alquanto inferiore alla Costituzione)
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Quindi, CRITICARE L’AMMINISTRAZIONE ANCHE IN MODO FEROCE, ma senza diffamare (vedi cod. penale), senza offendere (vedi cod. penale), senza insubordinarsi o incitare all’insubordinazione altri dipendenti, è un atteggiamento lecito, protetto dalla leggi e dalla Costituzione e non sanzionabile da alcun Codice di condotta che, se ne prevedesse la proibizione, sarebbe, sul punto, illegittimo e direttamente disapplicabile.
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Al di là della Costituzione e della Legge che escludono in modo CATEGORICO che qualcuno possa essere punito per avere esercitato il suo diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione, qui in gioco ci sono due interessi:
1) Da una parte, Il diritto costituzionale a manifestare liberamente, sempre e dovunque, il proprio pensiero con ogni mezzo, compreso ovviamente i social network. Ovviamente senza offendere, diffamare, parlare abusivamente a nome e per conto di, creare allarme con false informazioni e, in genere, semplicemente senza violare la legge.
Diritto sancito espressamente dalla Costituzione e dalle leggi.

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2) Dall’altra parte, Il divieto di un “supposto” indefinito e indefinibile “danneggiamento dell’immagine” dell’Ente pubblico che può inevitabilmente tradursi (dal momento che qualsiasi critica motivata può danneggiare l’immagine dell’ Ente pubblico) in un generalizzato “divieto di critica” (specie se fondata) del Comune, dei suoi dipendenti e dei suoi amministratori.
Divieto sancito da un codice di comportamento scritto da qualche oscuro burocrate comunale e da una letterina del sindaco ai dipendenti comunali.
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Secondo voi quale di questi due interessi COLLIDENTI fra LORO merita di essere tutelato con ogni forza da qualsiasi cittadino che abbia a cuore le libertà fondamentali?
1) La LIBERTA’ di pensiero e di parola
oppure
2) il DIVIETdi rischiare di eventualmente offuscare l’immagine di un Comune?

Secondo voi qualsiasi persona raziocinante e democratica, o, in seconda istanza, qualsiasi giudice, cosa sceglierà?

foto di Rimigliano San Vincenzo.


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