mercoledì 5 dicembre 2012

La rovina del vecchio storico Semaforo di Piombino

Sulla sommità del poggio che domina il porto di Piombino, nel luogo più panoramico e suggestivo della città, sorgono isolati, dopo decenni di disinteresse di cittadini e istituzioni, i resti in rovina di quello che fu il Semaforo di Piombino. 








I Comandi DICAT (Difesa Contraerea Territoriale) della Zona Militare Marittima Elba-Piombino erano due,uno per le 7 batterie dell'Elba a Forte Falcone e uno per le 4 batterie di Piombino, sul Castello di Piombino. Il comando DICAT di Piombino sovrintendeva alle 4 batterie del Presidio di Piombino, di cui una (quella del Semaforo) a doppio compito antiaereo-antinave con artiglierie 102/35 S. A e tre (quelle di Montecaselli, Salivoli e Punta Falcone) antiaeree con artiglieria da 76/40. Ogni postazione era attrezzata per la difesa ravvicinata con mitragliatrici, le quali guarnivano anche i posti semaforici.






Il ricordo dei caduti in mare presso il semaforo di Piombino. Ormai da tempo dimenticato come tutti i milioni di morti della guerra.
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La battaglia di Piombino ha luogo due giorni dopo l'annuncio dell'armistizio, che tante speranze e illusioni aveva suscitato nella popolazione stremata da più di tre anni di guerra.
Piombino, venerdì 10 settembre 1943
Durante la notte, alle 4,30 del 10 settembre una squadra tedesca proveniente da Torre Annunziata, al comando del Kapitänleutnant Karl-Wolf Albrand,  costituita da due navi da guerra:  la Torpediniera TA-11 comandata dallo stesso Albrand e la TA-9 comandata dal capitano Otto Reinhardt con al seguito un vapore requisito alla Francia: l' HANS SS CARBET, si presenta all'imboccatura del porto di Piombino e chiede che vengano rimossi gli sbarramenti per potere attraccare e rifornirsi di acqua e carbone.
In realtà il compito della squadra tedesca era quello di mettere in sicurezza il porto di Piombino che assieme a quello di Bastia costituiva la catena di porti indispensabile per l'evacuazione delle forze tedesche nelle isole: la 90° divisione Panzergrenadieren in Sardegna e la Sturmbrigade Reichsführer-SS in Corsica.
Il comandante di "Marina Piombino", capitano di fregata Amedeo Capuano, in un primo momento nega l'accesso, ma a seguito di espliciti ordini arrivati dal comando della 215^ Divisione Costiera di  Massa Marittima, da parte del comandante generale Cesare Maria De Vecchi di val Cismon, (quadrumviro della marcia su Roma, ma anche uno dei  firmatari dell'ordine del giorno Grandi che, nel Gran Consiglio del 25 luglio, aveva esautorato Mussolini), alle 9,30 del mattino, dà ordine di aprire gli sbarramenti del porto e concedere l'accesso al convoglio tedesco, al solo scopo di rifornirsi.
Le navi tedesche fanno il loro ingresso in porto, ma le due torpediniere si posizionano subito ai due lati opposti del porto, (la TA11 al molo sud, la TA9 a quello nord) in modo tale da poter coprire con i loro cannoni tutto il campo dell'area portuale.
Assieme alle navi tedesche fanno il loro ingresso in porto  quattro vedette antisom Italiane la VAS 201, 214, 219 e 220, che, provenienti da Imperia e dirette a Portoferraio, erano state dirottate su Piombino da motosiluranti tedesche uscite da Livorno, e che, prese in consegna dalla squadra di Albrand,  con i cannoni puntati, sono ora obbligate ad ormeggiarsi accanto alle torpediniere restando in ostaggio della forza navale tedesca.
Alle 12,00 entrano in porto quattro motozzattere MFP Marinefährprahm  (F420, F513, F514, F542), due motosiluranti e due chiatte peniches: la MAINZ, la MEISE) . Poco dopo arriva anche la 10° squadra di soccorso aereo della Luftwaffe composta da 2 battelli Flugbetriebsboot (Fl.B.429, Fl.B.538) e 4 lance veloci (Fl.C.3046, Fl.C.3099, Fl.C.504 e Fl.C.528)
Alle 13,00 le corvette italiane FOLAGA, (cap. Thorel) APE (ten Balbo di Vinadio) e CORMORANO (ten. Raiani) lasciano l'Elba intercettando nel canale di Piombino  un convoglio di 5 Motozzattere tedesche: le F429, F456, F479, F506, F507, e costringendole a riparare semi arenate nel golfo di Populonia.
Alle 17,00 altri otto battelli tedeschi (motozattere MFP fra le quali l' F554, motosiluranti e peniches, fra le quali la BREMERHAVEN e probabilmente la KÖLN, JÖRN, KURT, HAMBURG e GOTENHAFEN) entrano in porto, seguiti più tardi dai pattugliatori, Vp 7017, 7018, 7019 della 70° flottiglia pattugliatori.  Infine all'imbrunire, entra in porto anche il dragamine R 185, della 12°  Räumbootsflottille, al comando del Leutnant zur See Schliephacke. 
Nel frattempo il generale Fortunato Perni, comandante del Presidio di Piombino, contattato dal capitano Albrand, aveva da parte sua già autorizzato la presenza al Semaforo di due segnalatori tedeschi disarmati, che in realtà si presentano armati di tutto punto alla batteria presidiata dagli uomini della milizia della Difesa Contrerea Territoriale: DICAT e comandata dall'avvocato fiorentino, capitano dell'esercito Andrea Magarini,  e prendono possesso del vicino semaforo effettuando segnalazioni al naviglio tedesco nello stretto.
I tedeschi, intanto sbarcano diverse pattuglie che iniziano ad infiltrarsi nei dintorni del porto, facendo così presagire la loro volontà di occupare la città.
 La popolazione e gli operai affluiti dall'Ilva e dalla Magona, già allertati dalle manovre tedesche dei giorni precedenti, reagiscono con manifestazioni di protesta davanti al Comando di Presidio, situato nello stadio Magona, chiedendo ai militari italiani una reazione immediata e decisa e minacciando, in caso contrario, un’inserruzione.
In quei giorni, nelle vicinanze del Comando di Massa Marittima è acquartierato il XIX Battaglione carri medi, costituitosi da appena dieci giorni, al comando del tenente colonnello Angelo Falconi, facente parte del 31° Reggimento carristi  e provvisoriamente aggregato alla  215^ Divisione Costiera comandata dal De Vecchi, ma in procinto di partire per raggiungere la Divisione Corrazzata Centauro II di stanza ad est di Roma.
A seguito della crescente pressione popolare il generale Perni acconsente a chiamare in difesa della città il Battaglione Carri. In realtà la sua vera intenzione, ispirata dal generale De Vecchi, è quella di usarlo per ripristinare l'ordine in città.
Civili e militari iniziano intanto a organizzare le difese, attrezzando la batteria E207 di Montecaselli, comandata dal capitano Scaravaglio di Savona, quella di Salivoli e la Sommi Picenardi di Punta Falcone, oltre alla 190a del Semaforo del capitano Magarini, dove i due segnalatori tedeschi vengono disarmati e catturati dagli uomini della Batteria fra i quali il caposquadra Giovanbattista Salvadore. Contemporaneamente i tedeschi si preparano all'assalto organizzandosi su tre obbiettivi: la conquista della postazione del Semaforo, l'occupazione del porto, l'occupazione dei punti nevralgici della città.
La pressione sulle autorità militari si fa sempre più forte. Un assalto alla Casa del Fascio, in cerca di armi, viene sventato da un plotone della Territoriale  che spara in aria. Si giunge ad un punto di tensione tale che il generale Perni ordina al battaglione corrazzato appena giunto in città con circa 20 Carri Medi M15/42, dotati di cannoncino Breda 47/40 Mod.39 e di 3 mitragliatrici Breda Mod.38 8mm, di aprire il fuoco, a scopo intimidatorio, per sciogliere le manifestazione popolari. Lo stesso generale si preoccupa premurosamente di avvertire il capitano tedesco di non allarmarsi per gli spari che sente dal porto, perché sono i suoi carrarmati che sparano verso i civili.
La popolazione per nulla intimorita continua a manifestare, mentre tra le gerarchie militari italiane scoppiano violentissimi contrasti tra chi vuole respingere l’attacco tedesco (il comandante di "Marina Piombino" Capuano e i suoi ufficiali) e chi invece vuole accordarsi con loro per cedere il porto e la città: il gen. De Vecchi e il generale Perni che arrivano a destituire Capuano che, tuttavia, resta al suo posto.
Dal contrasto deriva una reciproca neutralizzazione ed un completo vuoto di potere. A quel punto alcuni cittadini, sia spontaneamente, che riuniti nel Comitato di concentrazione antifascista, formatosi nelle settimane precedenti, tentano di prendere in mano la situazione, affidando il comando delle operazioni al comandante della DICAT  capitano Giorgio Bacherini che aveva manifestato sentimenti antifascisti e completando la presa della varie batterie e postazioni di artiglieria, fermando i marinai e gli addetti ai pezzi che le stavano abbandonando e cercando di convincere alcuni ufficiali subalterni (fra i quali il S.Tenente Filograno) ad assumere il comando dei carri ed a schierarli contro i gruppi d’assalto tedeschi che erano stati nel frattempo fatti sbarcare e che iniziavano a penetrare verso la città e verso gli impianti industriali.
Appena si fa buio, gli italiani sparano un bengala per illuminare il porto e il capitano Albrand, credendolo un segnale di attacco, ordina alle sue navi di aprire il fuoco. Alle 21,15 inizia così  lo scontro aperto che si protrae per alcune ore. Agli scontri a fuoco partecipano reparti dell’Esercito, della Marina e della Guardia di Finanza oltre a numerosi cittadini. Nel corso dei combattimenti per la difesa della caserma della Finanza rimangono feriti il Comandante della Tenenza e due sottufficiali, colpiti da raffiche di mitragliatrice sparati dalle motozattere tedesche. Il Sottobrigadiere Vincenzo Rosano, a causa delle gravi ferite riportate, morirà il giorno successivo in ospedale.
La batteria di Montecaselli e quella  di Villa Parrini e del Semaforo, iniziano a cannoneggiare le imbarcazioni tedesche alla fonda, che avevano già aperto il fuoco contro le batterie e che ora cercano di sottrarsi ai colpi salpando per guadagnare il mare aperto. Anche alcuni carri che avanzando lungo la strada, sono arrivati in vista del porto, iniziano a cannoneggiare le navi tedesche.  Le due torpediniere vengono ambedue colpite gravemente, anche il CAPITANO SAURO ed il CARBET sono duramente colpiti, come quasi tutte le motozzattere e i dragamine. Un proiettile colpisce una delle vedette antisom italiane VAS incendiandola. Il gasolio incendiato che si riversa in mare sparge il fuoco fino alle navi vicine, ed anche la TA 11 viene avvolta dalle fiamme. Le peniches: MAINZ e MEISE vengono affondate.
Intorno al porto, illuminato a giorno dalle navi in fiamme,  i cui bagliori vengono avvistati fino da San Vincenzo, proseguono gli scontri fra le truppe tedesche che, ormai sulla difensiva, iniziano a ritirarsi  ed i marinai ed i civili appoggiati dai carri armati. A mezzanotte la TA 9 del capitano Reinhardt, si allontana dal porto, gravemente danneggiata, ma continuando a rispondere al fuoco delle batterie italiane e costeggiando l'Elba per sottrarsi ai tiri di Punta Falcone, guadagna il mare aperto verso Livorno. Alle 5,00,  la TA 11 del capitano Albrand colpita da numerosi proiettili sparati dai carri italiani, affonda nel porto.
Piombino, sabato 11 settembre
All’alba dell’  11 settembre i tedeschi dopo aver subito pesanti perdite, sono costretti alla resa e dopo essere usciti dal ricovero antiaereo del porto dove si erano asserragliati, vengono fatti prigionieri in circa 300. Dopo poco però giunge l’ordine del gen. De Vecchi di liberare tutti i prigionieri tedeschi e di restituire loro le armi. Il generale Perni trasmette l'ordine e così il comandante della DICAT deve far liberare i soldati tedeschi.
Mentre il dragamine tedesco R 185 rimasto incolume si allontana a tutta forza in cerca di rinforzi, una parte dei soldati tedeschi liberati lasciano Piombino per Livorno a bordo delle Motozzattere ancora galleggianti. Più tardi, nel pomeriggio altri duecento soldati tedeschi si allontanano da Piombino, verso Livorno, a bordo del CAPPELLINI, unico vapore rimasto quasi incolume. Il CARBET, gravemente danneggiato, viene affondato all'interno del porto. Il giorno seguente 12 settembre  il CAPITANO SAURO, ancora attraccato alla banchina,  viene autoaffondato, allagando le stive, ed abbandonato dall'equipaggio.
Questi atti, che vanificano due giorni di lotta, provocano immediate reazioni di protesta da parte della popolazione. Il generale Perni, che già si era distinto il giorno prima, facendo sparare, sia pure a scopo intimidatorio, verso la popolazione, viene accusato di tradimento e dopo essere stato pesantemente insultato e fatto oggetti di sputi in faccia, deve asseragliarsi all'interno del Comando di Presidio.
Le linee di comunicazione vengono interrotte ed in un rapido crescendo tutte le strutture ed i comandi militari scompaiono totalmente lasciando la città abbandonata a se stessa, senza la minima possibilità di difesa. Contemporaneamente il comando di divisione, da Massa Marittima, ordina lo scioglimento del XIX battaglione carri e concorda la resa con i tedeschi che si impossessano della città all’alba di Domenica 12 settembre.
I militari che presidiavano le batterie non vengono neppure avvertiti e apprendono della resa e del disfacimento della struttura militare italiana quando nessuna risposta arriva più dal comando DICAT ormai abbandonato. A quel punto fuggono anch'essi, dopo aver sabotato e reso inutilizzabile qualche cannone.
Terminò così tristemente la battaglia di Piombino. Gran parte dei militari: soldati e ufficali si dispersero in cerca di mezzi di trasporto per tornare a casa. Gli operai e i civili che più si erano esposti e gli altri che avevano da temere l'arrivo dei tedeschi e il ritorno dei fascisti, si rifugiarono nei boschi e nelle settimane seguenti, alcuni di loro, dettero vita alle prime formazioni partigiane.  La banda di Poggio alla Marruca, gia a fine settembre inizierà ad essere operativa e confluirà poi nella terza Brigata Garibaldi..
I caduti tedeschi nei combattimenti furono centoventi.
 caduti italiani furono quattro (i marinai: Giovanni Lerario e Giorgio Perini, il brigadiere della Guardia di Finanza: Vincenzo Rosano ed il civile Nello Nassi) oltre ad una diecina di feriti tra marinai, soldati, finanzieri e civili.
 Fu affondata la torpediniera TA11. e gravemente danneggiata la torpediniera TA9.
Due piroscafi carichi di rifornimenti: il CARBET ed il CAPITANO SAURO, furono gravemente danneggiati e poi affondati  Furono inoltre affondate sette motozzattera armate MFP , le chiatte peniches KARIN  MAINZ e MEISE, tutti i battelli della squadra di soccorso aereo: Fl.B.429, Fl.B.538, Fl.C.3046, Fl.C.3099, Fl.C.504 e Fl.C.528 e tutte e quattro le vedette antisom VAS 201, 214, 219 e 220 che erano state catturate agli italiani.
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 Testimonianza di Giovanbattista Salvadore (15.06.1915 - 10.05.1974)

G.Battista Salvadore e Maria
" Miei cari, l'8 settembre, come voi già sapete, ero in batteria a Piombino alla 190.a.
Il 9 settembre sono entrate in porto due cacciatorpediniere tedesche, 14 mezzi da sbarco e un piroscafo armato. La batteria è stata circondata da marinai tedeschi armati e dopo una mezz'ora è venuto un tedesco e ha detto che potevamo rimanere ai nostri posti, bastava che non facessimo atti di ostilità; egli avrebbe messo due suoi marinai di servizio al semaforo per le segnalazioni con le navi di passaggio nel canale di Piombino. e così avvenne.
       Io ero, quel giorno, di ispezione ed ebbi l'ordine dal comandante che a tempo debito avrei dovuto disarmare i due marinai suaccennati. Andai da loro e mentre parlavo del più e del meno, verso le ore 18, le navi dal porto incominciarono a sparare a fuoco serrato sulla batteria. Noi tre che eravamo sul terrazzo del semaforo, ci gettammo pancia a terra e strisciando scendemmo giù. Presi i due marinai con la scusa di correre verso il ricovero; ad un certo momento, mi girai di scatto, fingendo con una mano in tasca di avere una rivoltella e gridai "ALT!". I due "giannizzeri" alzarono le mani e si fecero disarmare, poi li consegnai al personale di guardia all'aerofono. Il comandante dette ordine di andare ai pezzi ed in tutto non eravamo che una quindicina di persone, perché il rimanente se l'era squagliata. In tutti i casi, aprimmo il fuoco con tre cannoni e riuscimmo ad affondare un caccia, il piroscafo ed una decina di mezzi da sbarco. A mezzanotte, il porto di Piombino ardeva e per diverse ore e sempre si combatteva, perché i marinai tedeschi si erano asserragliati nel ricovero antiaereo del porto e di lì, con le armi automatiche, sostenevano il combattimento.
        La mattina seguente, il comandante telefonò al comando DICAT, spiegando ogni cosa e chiedendo di mandare i carri armati per farla finita. ma dal comando DICAT, dopo promesse, non si otetnne nulla e verso le dieci del mattino, il comandante ritelefonò, dicendo che se non avessero mandato per le undici i carri armati, sarebbe andato lui con i suoi uomini e che avrebbe portato tutti i tedeschi prigionieri al Comando. Di fatto, scoccarono le 11 e nulla si era ottenuto. In batteria non eravamo rimasti che 9 marinai, 2 sottufficiali ed il comandante quindi l'impresa era abbastanza rischiosa. ma noi l'intraprendemmo. Dietro ordine, ci caricammo il petto di bombe a mano e andammo all'attacco. Ad un certo punto, intravedemmo dietro un cespuglio un berrettino tedesco ed io lanciai una bomba a mano e di lì sortirono ben dieci marinai tedeschi che disarmammo subito. Ci portammo al di sopra del ricovero e incominciammo a buttar giù le bombe a mano, a quattro a quattro per ogni uomo, in modo che scoppiavano contemporaneamente 44 bombe a mano. A quel fracasso, dopo la terza scarica di bombe, i tedeschi cacciarono fuori un bastone con uno straccio bianco e il comandante parlò, nascondendosi dietro un ufficiale tedesco, dicendo che avrebbe mandato giù un sottufficiale con due marinai per disarmarli, man mano che sarebbero venuti fuori: così, andai io con due marinai a disarmarli. Erano diverse centinaia di tedeschi fatti prigionieri da noi - undici, in tutto - e quando ci videro rimasero bocca aperta. Di lì a poco venne il comandante del DICAT, Bagarini, il quale parlò con un maggiore tedesco e vidi che, dopo, tutti si imbarcarono sui mezzi disponibili e presero il largo. Noi rimanemmo in batteria ed il comandante stilò la relazione, citando noi due sottufficiali ed i nove marinai "superiori ad ogni encomio".
        La mattina alle 5, mentre dormivamo sull'erba, vennero a mitragliare la batteria alcune motosiluranti tedesche e noi rispondemmo al fuoco. Il comandante telefonò al comando DICAT ma invano: TUTTI SE L'ERANO SQUAGLIATA, senza neanche avvisarci. Il comandante, quasi con le lacrime agli occhi, capì l'impossibilità di continuare a resistere, perché in pochi ed anche perché i tedeschi avanzavano dal mare e da terra quindi dette ordine di abbandonare la batteria. Ci distribuì viveri ed a me dette cento lire, perché ero privo di soldi, così abbandonai Piombino, diretto verso Pola, a piedi, perché qui c'era Maria con Loredana (moglie e figlioletta) prive di ogni risorsa ed in più Nini (il cognato) invalido di guerra e ammalato. Dopo ben quattordici giorni, quando stavo già per raggiungere Pola, a Degnano fui preso dai tedeschi. Presentai loro i miei docuenti e cercai di fargli capire che non ero un partigiano. Ero in condizioni pietosissime, i piedi li avevo laceri e sanguinanti e riuscii ad andare a casa per un mese. Allo scadere del mese non mi presentai.
       Il mio comandante in batteria a Piombino era il capitano dell'esercito Avv. Andrea Magarini, abitante in via Valdarno a Firenze. Lui potrà testimoniare quanto io feci a Piombino, elogiandomi. 
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Giovambattista Salvadore
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