domenica 1 ottobre 2017

A QUANDO UN SOPRASSALTO DI DIGNITÀ MORALE?


In tutta questa vicenda, la cosa davvero incredibile e scandalosa è che segretari e dirigenti comunali abbiano potuto assecondare - plagiati o impauriti, non si è mai capito - per più di venticinque anni (una vita) comportamenti scandalosamente pieni di cattiveria, prevaricatori e persecutori, da parte di un funzionario (peraltro di una pochezza e arroganza unica) nei confronti di un loro dipendente, reo di non aver piegato la testa a comportamenti e disposizioni arbitrarie e censurabili, e per questo messo all’indice, denunziato penalmente diecine di volte, isolato, degradato, vessato in ogni modo, fino ad essere più volte licenziato. Provvedimenti sempre palesemente persecutori e illegittimi, vanificati tutti (sia pure a caro prezzo) solo grazie alla incredibile e tetragona tenacia della vittima, ed ai provvedimenti di giudici indipendenti.

L’altra cosa veramente scandalosa, forse addirittura la peggiore, è che i sindaci e gli assessori abbiano sempre voltato la testa dall’altra parte e non siano mai intervenuti nei confronti di quella vicenda scandalosa, non osando mai mettersi contro i propri dirigenti e contro l’impresentabile e torvo funzionario, preferendo invece, per quieto vivere e anche per grigio timore, lasciare colpevolmente che un loro dipendente (la parte più debole) continuasse a essere ingiustamente e impunemente sacrificato, anno dopo anno.

Infine, dopo la forzata e ingloriosa uscita di scena del persecutore storico, un gruppetto di suoi fedelissimi adepti ha tentato di proseguire la sua opera all’interno dell’ente con azioni plateali, fino a ignobili velati avvertimenti a qualche consigliere e addirittura fino ai limiti dell’ammutinamento, senza che i sempre timorosi dirigenti e il sindaco trovassero la forza di applicare le sanzioni previste e far cessare le continue provocatorie disobbedienze nei riguardi degli ordini e delle disposizioni di servizio.
Questa clamorosa e inspiegabile debolezza è stata naturalmente ripagata da parte dei graziati con denunzie e richieste vittimistiche di mega risarcimenti nei confronti della magnanima, distratta e timorosa dirigenza. Ovviamente. Cosa si aspettavano? Se aspettavano forse un po’ di riconoscenza, hanno sbagliato in pieno i conti.

Il coraggio che nessuno ha mai avuto in oltre 25 anni, prima per opporsi a un funzionario fuori controllo e per far cessare quell’ interminabile scandalo persecutorio, e poi per punire gli ammutinamenti, è stato invece ora improvvisamente ritrovato per ricominciare a perseguitare con procedimenti disciplinari, sospensioni, e preavvisi di un terzo licenziamento, lo stesso dipendente che sopravvissuto a stento a 25 anni di continue persecuzioni, ha osato nientemeno che confutare pubblicamente la diffusione di false notizie (già accertate pacificamente come false) diffuse dall’amministrazione sui giornali, senza offendere o diffamare nessuno, ma violando, a loro dire, dei bizantini regolamenti interni, contrastanti evidentemente sia con le leggi sul lavoro, che soprattutto, con la Costituzione che non pone limiti gerarchici alla libertà di pensiero e di parola.
Con lui, privo di potere e, a dispetto della stazza, mai minaccioso o intimidatorio, molti amministratori e dirigenti si scordano ora delle proprie passate timidezze e paure e ritrovano il grande coraggio dei forti coi deboli.


Ci si chiede: ma davvero è possibile che, nell’amministrazione, nessuno avverta un po’ di vergogna?

Forse non è ormai più possibile rimediare alle cattiverie, alle omissioni, alle pusillanimità del passato. Ci attendiamo però tutti, finalmente, un soprassalto di dignità morale e di onore da parte dei rappresentanti dei cittadini, tale per lo meno da evitare di aggravare ulteriormente tutto il non poco male già commesso nel passato. Ne guadagneranno non solo nella considerazione di tutte le persone davvero per bene, ma anche nella propria serenità e autostima, sapendo benissimo cosa prescrive l’unico regolamento che veramente conta, e cioè la legge morale che è dentro di tutti.
.

sabato 19 agosto 2017

Regolarità urbanistiche e indennità risarcitorie - Percorsi ondivaghi - Tre storie


Comune di San Vincenzo (Livorno)
- Varie modalità di giudicare la Regolarità Urbanistica degli immobili.
- Varie modalità di valutare l’entità delle sanzioni.
Tre storie 
con esiti molto diversi. Fortuna? Sfortuna? Fato? … Chissà!

E sul problema del “Galasso perduto” quale metodo si adotterà? Chissà!

1) Tenuta di Rimigliano
Volumi vari, per migliaia di metri quadrati, compreso fagianaie, concimaie, ruderi, ecc. privi di permessi o licenze edilizie rintracciabili, sono giudicati REGOLARI e quindi recuperabili ai fini volumetrici, sulla base dell’art.5 del Regolamento urbanistico, così come modificato con delibera di CC n. 32 del 6/5/2013. 
Articolo che, dopo la sua modifica,  consente in pratica di rendere regolare peressoché ogni immobile che si possa dimostrare essere stato realizzato prima del 1° settembre 1967. 
Quindi per tutti questi immobili, nessuna necessità di condono e NESSUNA SANZIONE.
Piuttosto discutibile invero, ma tutto regolare e secondo regolamento (appena modificato), per carità. L’importante è che la cosa logicamente valga per tutti, anche retroattivamente, per semplice giustizia. Infatti quando la legge cancella un reato, chi è in galera per aver commesso quel reato, viene subito liberato. Logico, no?

2) Torretta  sulla duna dei Lecci
Viene rilasciato dal Comune un permesso di ricostruzione sulla duna dei Lecci, per 106 mq. , a fronte di una superficie preesistente – legittimata da un condono – di soli 64,03 mq. Anche l’architetto Baggiani  non riesce a capacitarsi per quei 42 mq in più, regalati.
A seguito di varie difformità, realizzate durante i lavori, rispetto alla Concessione edilizia ed al Permesso Paesaggistico, e accertate dalla Forestale, il Comune, dopo alcuni mesi di silenzio tombale, con la faccenda ormai già esplosa sui giornali, si decide a sospendere i lavori di costruzione.
Viene quindi emessa dal Comune un’ordinanza di demolizione n. 383 del 15/9/2011.  Il responsabile del procedimento, geom. Salti, accerta la mancata esecuzione dell’ordinanza e predispone la lettera con la comunicazione di “inottemperanza all’ordinanza e conseguente preavviso di confisca e demolizione d’ufficio”, così come previsto dalla legge. La lettera però inspiegabilmente (anche l’ arch. Baggiani non se lo spiega) resta in un cassetto e non viene notificata dal dirigente alla proprietà. Così dopo qualche anno di inerzia del Comune, nonostante i proclami dell’assessore, anche in Consiglio Comunale, sulla inevitabile demolizione della palazzina, la proprietà, dopo numerosissimi ripetuti tentativi ottiene, per spossatezza generale, la sospirata sanatoria.
Si deve ora determinare l’indennità risarcitoria prevista dalla legge e pari, in quel caso, al profitto conseguito a seguito dell’abuso. La perizia del geom. Tosi del 9/3/2016 valuta tale profitto uguale a zero. Infatti viene giudicato irrilevante ai fini del valore finale dell’immobile la realizzazione del vano interrato non previsto dal Permesso e ugualmente irrilevanti, a tal fine,  tutte le modifiche distributive dei volumi, e degli spazi circostanti, eseguite in difformità, che pure uno scopo migliorativo si deve supporre che l’avessero. Ugualmente non viene applicato il profitto “ordinario” pari al  “3%  del valore d'estimo dell'unità immobiliare” come previsto dall’art. 2 del DM 26/9/1997,  che in questo caso sarebbe ammontato a circa 30 mila euro. E quindi determina la sanzione nel minimo edittale di 516,46 euro. Il Segretario Comunale D’Agostino, in sostituzione dell’astenuto dirigente dell’edilizia Filippi, con Determinazione N.  207 del  14/03/2016  fa sua la perizia e irroga la sanzione di 516, 46 euro.
Sicuramente tutto regolare. Anzi si deve gioire che chi pure ha errato, non venga eccessivamente sacrificato. Si sa che la pena non deve essere inutilmente afflittiva, ma deve solamente tendere al recupero del soggetto.

Dopo questi due edificanti esempi di saggia e bonaria indulgenza amministrativa, che senz’altro fanno onore al Comune, veniamo all’ultimo esempio. Non c’è due senza tre. Almeno si suppone, ma invece in questo caso non sarà così. Nessuna bonaria indulgenza.

3) IMMOBILE  in via della Principessa, 117
Nel 1963 viene realizzato nel terreno, senza permesso,  un manufatto di circa 60 mq.
Nel 1986, visto che la legge lo consente,  viene chiesto il condono e pagata l’oblazione. La pratica si trascina però per oltre venti anni, mentre nel lotto confinante, una singola palazzina viene all'incirca raddoppiata e trasformata in un megacondominio con distanze dai confini alquanto critiche e con un permesso della Soprintendenza che imporrebbe di non abbattere alcun albero di alto fusto… con conseguente inizio di un contenzioso legale tuttora in corso.
La nostra pratica di condono si conclude finalmente solo nel 2010 con il nulla osta della Soprintendenza e l’autorizzazione paesaggistica.
A quel punto però, nel 2011 (a quasi 50 anni dalla realizzazione),  il Comune richiede il pagamento di una indennità risarcitoria sulla base di meccanismi previsti da leggi arrivate molti anni dopo il 1986, anno di presentazione della pratica di condono.
Per la verità dal momento che l’immobile risulta pacificamente costruito nel 1963, cioè ben prima del 1° settembre 1967, sulla base dell’art. 5 del RU non ci sarebbe stato neanche bisogno di condonarlo e si sarebbe potuto considerare “regolare” secondo il Regolamento. Purtroppo la benefica modifica dell’art. 5 del RU avverrà solo due anni dopo, nel 2013 e quindi in quel momento ancora non valeva. Così si va avanti.
La perizia del geom. Bettini determina il “profitto” dell’abuso sulla base dei “prezzi di mercato” e così arriva a stabilirlo in ben € 45.840.  Il dirigente dell’Edilizia Filippi, con Determina 719 del 15/11/2011 fa subito sua la perizia e irroga la sanzione di € 45.840, che deve essere obbligatoriamente, sia pure a rate, pagata.


Dopo appena un anno e mezzo la modifica dell’art. 5 del RU forse cancellerà quell’abuso che, dopo cinquant’anni, si è rivelato così enormemente costoso, ma nessun perdono viene accordato. In questo caso, chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato. Nessuna pietà per Ulzana.

RIEPILOGO dei TRE CASI


Cosa ci RISERVA il futuro?

Tutti quanti sappiamo bene che una notevolissima quantità di immobili nel centro cittadino, fra il fosso delle Prigioni e quello delle Rozze, ricadenti nel vincolo paesaggistico, dal 1985 fino al 2016 (il Galasso perduto), non hanno richiesto e quindi nemmeno ottenuto l’autorizzazione paesaggistica. Si porrà prestissimo il problema di una loro megasanatoria (se possibile) e quindi della determinazione di tante indennità risarcitorie.

Quale metodologia si applicherà fra quelle adottate nei tre casi sopra ricordati?

Chi vivrà vedrà.

sabato 10 giugno 2017

Giacomino da stamani è in vacanza.



Venerdì sera alle cinque ha staccato dal lavoro ed è andato finalmente in ferie per dieci giorni. Ieri sabato è partito con la famiglia da Lambrate e dopo un faticosissimo viaggio è arrivato nel tardo pomeriggio alla sua agognata meta: la bellissima, mitica, favolosa San Vincenzo.

L’appartamento che Giacomino ha affittato per 1.300 euro su airbnb si è rivelato un po’ deludente. A parte i mobili e le attrezzature risalenti agli anni sessanta, ha scoperto alcune amene caratteristiche che su internet non erano segnalate: il ristorantino a venti metri sopravvento dal quale provengono giorno e notte un rombo di ventilatore e intensissimi miasmi di olio fritto, e la mancanza di parcheggi gratuiti nei dintorni, con relativo obbligo di lasciare l’auto a cinquecento metri di distanza.

Vabbè, ma a San Vincenzo ci si viene per andare sul mare, mica per stare in casa. E la spiaggia è vicinissima, a meno di cento metri, quindi chissenefrega della TV col decoder, del fritto e del parcheggio.

Appena disfatte le valigie, Giacomino, la moglie e i ragazzi sono andati tutti alla vicinissima spiaggia per vedere dove potersi piazzare la mattina dopo. Sorpresa! La cosiddetta “comoda spiaggia libera a disposizione" propagandata su airbnb è uno straccio di 15 metri di larghezza, che è anche il passaggio pubblico, dove si ammassano alla rinfusa schiere di disperati calpestati da chi cerca di arrivare alla battigia.

Gli enormi stabilimenti balneari sui due lati (con grandi cartelli dove vantano di essere "tinozza free") praticano prezzi da amatori che prosciugherebbero il budget di Giacomino e inoltre, a parte gli altoparlanti che sparano in continuazione musicaccia a 90 decibel, hanno ombrelloni disposti secondo le misure standard delle celle delle carceri del Ruanda, del tutto impraticabili da chi, come Giacomino, soffre di una leggera forma di claustrofobia.

Vabbè, fortunatamente a San Vincenzo c’è perlomeno la meravigliosa spiaggia di Rimigliano, lunghissima, splendida, dove c’è posto comodo per tutti. Si dovrà prendere tutti i giorni la macchina, fare un po’ di fila la sera e impazzire per ritrovare al ritorno un parcheggio, ma insomma pazienza. Una bella giornata di mare a Rimigliano fa scordare tutto.

E così stamattina alle dieci e mezzo Giacomino, moglie e i due bimbi, sono usciti di casa belli pimpanti, portandosi dietro, fino alla macchina, ombrellone, seggioline, asciugamani, borsa termica refrigerata col pranzo preparato all’alba dalla moglie, e bottiglie di acqua e di vino.
Dopo venti minuti l’entusiasmo era un po’ scemato. La Principessa era già piuttosto piena. I posti liberi dove parcheggiare erano ancora numerosi, ma tutti dalla parte opposta del mare, al sole, sullo sterrato e tutti dietro una minacciosa linea blu che significava evidentemente “a pagamento”.
Parcheggiato finalmente sul ghiaino blu, Giacomino ora non sapeva che fare. Va bene “a pagamento”, ma dove, come, quanto? Nessun cartello o macchinetta mangiasoldi in vista a perdita d’occhio.
Finalmente aveva fermato un ciclista che, dopo aver investito sulla pista ciclabile tre adulti un bambino e due cani, marciava ora sulla carreggiata stradale cercando inutilmente di suicidarsi, incerto se farsi arrotare da un camion o schiantarsi contro uno sportello aperto d’improvviso. Da lui aveva appreso che gli pareva di aver visto una macchinetta dei biglietti, nascosta fra le auto parcheggiate, circa trecento metri più a nord.

Lasciata la famiglia in fiduciosa attesa si era incamminato al sole lungo la strada, con un occhio continuamente alle spalle, fermandosi schiacciato contro le auto in sosta, ogni volta che vedeva arrivare un camion o un autobus che lo frisavano in un turbinio di polvere e di ghiaino.

Arrivato stressato, ma miracolosamente incolume alla macchinetta, aveva appreso che per arrivare a sera come desiderava, occorrevano ben otto euri, e tutti in moneta spicciola, Niente banconote, niente bancomat, niente di niente. Ma lui in tasca di spiccioli aveva solo 1 euro e cinquanta. E ora?
Giacomino, ormai profondamente depresso, a quel punto era incerto fra prendere a calci la macchinetta fino a sbarbarla, pisciare nella fessura dei soldi sperando che il meccanismo esplodesse, oppure suicidarsi buttandosi sotto la prima macchina in arrivo. Poi aveva realizzato che dovendo suicidarsi sarebbe stato più di soddisfazione fare prima almeno una strage dei sadici responsabili.
Infine aveva deciso di telefonare alla moglie e saputo che lei aveva sufficiente moneta era tornato dove aveva lasciato la famiglia e, presi gli euri spiccioli, era tornato alla macchinetta, fatto il biglietto da 8 euro e poi ritornato alla macchina a mettere il ticket sul cruscotto. Quasi mezz’ora e milleduecento metri avanti e indietro, quasi tutti nella carreggiata stradale, scansando auto, camion e autobus.
Finalmente ora potevano andare in spiaggia, anche se a Giacomino erano passate tutte le voglie di mare e dentro di se fantasticava invece ormai solo di stragi e carneficine.
Stasera, dopo avere fatto la sua doverosa coda di rientro, parcheggiato quasi alla Piana, trascinatosi per un chilometro a piedi con la famiglia e con tutta la mercanzia da spiaggia fino a casa, rintanato nel suo accogliente alloggio airbnb, nel divanetto sfondato, davanti alla sfarfallante tv analogica, con la musica e il vocio dell’adiacente festival della triglia, che coprono ogni altro suono, coi vestiti, tende e coperte intrise di puzzo di fritto e di pelle bruciata di pesce, Giacomino sta rimuginando cupo sull’impresa impossibile di andare avanti altri nove giorni a quel ritmo, ancora incerto fra compiere domani una strage epocale, o ripiegare invece su una semplice definitiva ecatombe.
Però una decisione definitiva almeno l’ha presa. L’anno prossimo non ci sono santi: tutti all’Idroscalo di Linate. Spiaggia vicina, economica, tranquilla e soprattutto comoda e riposante. Altro che bandiere (e strisce) blu dei miei cojoni. Crocione!


Dieci giorni dopo.....


Giacomino, martedì ha salutato San Vincenzo, tornando nella sua Lambrate. Alla fine si era adattato alle sadiche usanze locali, riuscendo a terminare la vacanza, senza il crollo nervoso che aveva paventato la sera del primo giorno.

La mattina si erano adattati a saltare tutti e quattro giù dal letto, ingozzarsi a colazione e partire prima delle 8,30 per Rimigliano in tempo per trovare un parcheggio sterrato e al sole, ma almeno gratis. La sera si era messo a bere a cena una intera bottiglia di spumantino rosé in offerta a 1,50 euro della coop, in modo che dopo cena e dopo quattro fragorosi rutti, si era sempre addormentato di schiocco sul divanino sfondato davanti alla TV sfarfallante, fregandosene dello smisurato puzzo di fritto del ristorantino sopravento e del casino proveniente dal festival della triglia che impazzava ogni sera sotto casa.

Insomma, incredibilmente, ce l’ha fatta ad arrivare in fondo ai 10 giorni fissati con Airbnb. Ora tornato a casa, come si era ripromesso, la prima cosa che ha fatto è stata quella i fissare una camera per il giugno 2018, all’idroscalo di Milano. Già pregusta la comodità, la tranquillità, i facili parcheggi, e il meno di metà prezzo di quel luogo beato dove, fra l’altro, ignorano cosa siano le tinozze.
http://vivimilano.corriere.it/.../nuoto-libero...

venerdì 12 maggio 2017

La questione esplosiva delle aree cittadine vincolate nel 1985 dal decreto Galasso, ma dimenticate per trent'anni.


Mi è stato chiesto da un autorevole amministratore un parere in merito alla situazione urbanistica del Cantinone, alla luce del nuovo orientamento del Comune rispetto al vincolo paesaggistico cittadino. La risposta, che ovviamente non riguarda solo il Cantinone, ma tanti altri immobili nella stessa situazione, è abbastanza semplice e priva di particolari difficoltà interpretativa. Infatti sussistono alcuni dati di fatto incontrovertibili che facilitano questa risposta e che passo a elencare di seguito:

1) Le disposizioni della legge Galasso (n. 431/1985), oggi inserite integralmente anche nel Codice del paesaggio (D.Lgsl. 42/2004) prevedono, all’art. 142 comma 1, lettera a),  che a partire dal 1985 tutti i territori ricompresi nei primi 300 metri dal mare ricadano nel “Vincolo Paesaggistico”, con la sola esclusione delle aree che a quella data (6.9.1985) il vigente PRG classificava come zone omogenee “A” o zone “B”, ai sensi del DM 2.4.1968 n° 1444.

2) Successivamente, per i pochissimi renitenti, è stato più volte autorevolmente confermato, per ultimo dalla Corte Costituzionale  (sentenza n. 551 del 23 marzo 2012) che quella eccezione della norma (che esclude il vincolo paesaggistico) non può essere estesa per analogia ad altre aree che non siano espressamente e unicamente quelle denominate all’epoca come “zone A” e “zone B” in quanto norma speciale, ovviamente non suscettibile di alcuna interpretazione od estensione analogica.

3) L’area di pertinenza del Cantinone era allora, ed è ancor oggi, distante mediamente 150 metri dal mare, ed è quindi ovviamente compresa interamente nella fascia dei 300 metri dal mare.

4) Alla data del 6.9.1985, tutta l’area di pertinenza del Cantinone era classificata dall’allora vigente PRG di San Vincenzo (approvato il 13.2.1984), in “zona F2” (servizi collettivi di interesse intercomunale e territoriale) e pertanto, ovviamente non era compresa né in “zona A”, né in “zona B”.


5) Anche il Comune di San Vincenzo, dopo trent’anni di incomprensibile e ondivaga amnesia, e qualche ulteriore ultimo tentennamento, ha finalmente dovuto aderire a questa (scontata) interpretazione, come risulta anche dai “Chiarimenti” riportati sul sito del Comune…. qui: 


5) Pertanto non sussiste il minimo dubbio che il fabbricato del Cantinone, a partire dal 1985 è stato sempre assoggettato, e lo è tuttora,  al vincolo paesaggistico. E, ovviamente, si deve supporre che per esso siano sempre state richiesti, quando necessari, i permessi paesaggistici.

7) In queste zona e in tutte le altre analoghe infatti, dal 1985, ogni intervento che incideva anche minimamente sull’aspetto esteriore del fabbricato e delle aree circostanti doveva preventivamente ottenere il nulla osta da parte della Soprintendenza e quindi il permesso Paesaggistico. In mancanza di tali approvazioni paesaggistiche, ogni licenza, concessione, permesso o scia, sarebbe nulla ab origine, inesistente, tamquam non esset, e quindi ogni eventuale intervento esterno, avvenuto negli ultimi trent’anni, dovrebbe intendersi urbanisticamente irregolare, a partire dalla data di sua esecuzione in poi, senza possibilità di alcuna prescrizione col passare del tempo.

8) Questo tipo di irregolarità (assieme alle violazioni antisismiche) è fra le più gravi previste dal Testo Unico in materia di edilizia (DPR 380/2001) e di difficilissimo rimedio. Addirittura - con esclusione delle violazioni paesaggistiche minori - la norma prevede espressamente l’impossibilità di una sanatoria a posteriori.

9) Naturalmente è ben comprensibile in quale guaio tremendo si potrebbero trovare tutti quegli edifici situati in terreni a meno di 300 metri dal mare e che nel PRG del 1984 erano classificati in zone C, F, D, E o in zone “bianche” come la spiaggia, se in questi trent’anni fossero stati costruiti o anche solo modificati esternamente, senza aver prima chiesto e ottenuto l’indispensabile nulla osta o permesso paesaggistico. In tal caso risulterebbero privi di ogni legittimità, incondonabili, senza possibilità di presentare alcuna nuova Cila, Scia, o richiesta di Permesso a costruire, del tutto incommerciabili, anche retroattivamente, con tutte le problematiche risarcitorie conseguenti.

10) I terreni che dal 1985 ricadono nel vincolo paesaggistico oltre a quello del Cantinone, sono, tanto per fare degli esempi, quelli del Ghirigoro, degli edifici sul lato nord di piazza Gramsci, dal Mediterraneo al circolo PD compresi, quelli del Paradisino, della Svizzera, della COOP, della caserma dei carabinieri e degli edifici circostanti, delle Poste, della Chiesa e degli accrocchi costruiti addosso, degli edifici fra la piazza della Chiesa e la ferrovia, di tutti gli edifici e altri manufatti fra via della Stazione e la ferrovia, dell' intero Porto e dintorni, di piazza Serini, del lungomare Federici, con relativi negozi, chioschi e gazebi, dell'ex asilo delle suore Santa Cecilia, della Perla e della retrostante piazza e garage interrati, e di tutte le spiagge cittadine con tutti i relativi bagni, Bucaniere, Nettuno, Serendipity, Meditrerraneo, Delfino, Florida e ristoranti, palafitte e chioschi, salvo se altri.

11) Nessuno di noi, senza consultare le varie pratiche, può sapere se per le costruzioni eseguite negli ultimi trent’anni in queste zone cittadine siano stati effettivamente richiesti i prescritti permessi paesaggistici. Certo il fatto che sulle tavole dei vincoli, sia dei vecchi che degli attuali strumenti urbanistici vigenti (Piano strutturale e Regolamento urbanistico), non sia mai stato riportato il vincolo dei 300 metri dal mare in queste zone, non fa presagire niente di buono. Eppure i rinomatissimi urbanisti di professione, estensori di quei piani avrebbero dovuto ben saperlo che tutte quelle zone "non A" e "non B" erano vincolate. Basti pensare che, nel mio piccolo, lo sapevo anche io.

12) Questa è attualmente la situazione. Uno stato di tacita sospensione nel quale nessuno pare che se la senta di ufficializzare e rendere palese questa drammatica situazione, vedendo di provare a metterci una pezza. Tanto prima o poi il tappo salta. Basti pensare alle prime pratiche nelle quali nessun professionista potrà asseverare la conformità di immobili privi di autorizzazione paesaggistica; Basti pensare alle prime compravendite dove l’acquirente e il notaio pretenderanno una conformità che nessuno potrà garantire e che non esiste; Basti pensare alle compravendite degli ultimi dieci anni di immobili che nessuno immaginava non essere regolari. Insomma un pasticcio potenzialmente infernale.
- - - - -
Non resta che sperare che, per la gran parte di  pratiche edilizie relative a queste zone sfortunate, i professionisti tecnici dei proprietari abbiano seguito la legge e non le difettose tavole comunali dei vincoli e, nonostante che l’Ufficio non lo richiedesse, abbiano ugualmente sempre richiesto il permesso paesaggistico, infischiandosene di esser presi in giro dai tecnici "bravi" e fidandosi solo della propria professionalità e del proprio istinto.
Speriamo davvero. Altrimenti non so come se ne potrà uscire.
- - - - -

Qui sotto il link alla carta del PRG del 1984, messa in rete dopo molte esitazioni dal Comune, a seguito di esplicita richiesta del gruppo di AS. Si tratta purtroppo di una riproduzione assai degradata, senza didascalie e così impastata, al punto da risultare scarsamente leggibile. (L'esempio di una riproduzione pur mediocre, ma non così degradata, è quella in testa a questo post) 
q=node%2F6http://maps1.ldpgis.it/sanvincenzo/sites/sanvincenzo/files/TAV.%2011%20VARIANTE%20P.R.G.%20REGIONE%2012%2002%201984%20.pdf9
- - - - - 
Questa sotto è la tavola A05 del Piano Strutturale che riporta in modo errato (non solo per il mare, ma anche per i fiumi) i vincoli paesaggistici che insistono sul territorio. E' stata integrata segnando con colore giallo le porzioni vincolate ai sensi dell'art. 142 comma 1, lettera a (300 metri dal mare e zone non A e non B) che attualmente non risultano in quella carta e dove il vincolo è stato in gran parte dei casi ignorato in questi 32 anni.
In rosso sono segnati i fabbricati interessati, all'interno di queste aree, per molti dei quali, nei 32 anni passati, non è stato richiesto il permesso paesaggistico con tutte le gravi conseguenze (non prescrittibili) che si possono immaginare.

Zona Centro - Sud

Zona NORD
Sarebbe quanto mai opportuno che fosse proprio il Comune a chiedere immediatamente all'architetto (autore del Piano) di correggere e integrare correttamente quella carta, e quindi immediatamente pubblicarla, in modo da dare finalmente ai tecnici e ai cittadini quelle certezze che sono mancate da trentadue anni a questa parte.

martedì 21 marzo 2017

L'incarico sbagliato per le scogliere e le isole - Sopra i 40 mila euro, ma affidato senza gara e senza negoziazione fra almeno cinque soggetti.



venerdì 10 marzo 2017

Il Porto delle nebbie. Spunterà mai il sole?

COLLAUDO DEL PORTO - CONCLUSIONI (per ora assai nebbiose)
E giunto il momento di fare un punto, e direi di chiedere lumi alle Autorità preposte,  su questo collaudo e su tutto quello che la relazione di collaudo ha - forse senza volere - rivelato su come si è svolto questo appalto, che doveva durare tre anni e invece è durato nove anni e mezzo – record assoluto di ogni tempo - senza però che “magicamente” risulti un solo giorno “ufficiale” di ritardo. E che, non si sa come, si è perso per strada (senza alcuna penalità per nessuno) l'intero impianto di produzione elettrica fotovoltaico con i suoi 144 pannelli solari, che doveva essere il fiore all'occhiello del porto. Anche se con tutta questa nebbia avebbe funzionato poco.

COLLAUDO DELL’APPALTO DI AMPLIAMENTO DEL PORTO DI SAN VINCENZO
Emesso in data 2/8/2016 e reso pubblico e accettato dalla Giunta Comunale con delibera n. 274 del 30/12/2016

SEGNALAZIONE di possibili IRREGOLARITA’ in appalto pubblico.

Questo è il collaudo del porto,  del 2 agosto 2016

PARTECIPANTI all'appalto: contratto di appalto del 3/11/2005)
Committente: Comune di San Vincenzo
Sindaci: Michele Biagi (2004 -2014), Alessandro Massimo Bandini (2014 – 2016)
Assessori Lavori Pubblici e porto – Mirio Giannellini, Kety Pini (2004 -2009),, Alessandro Massimo Bandini (2009 -2014),, Antonio Russo (2014 -2016),
Ditta appaltatrice – Sales s.p.a.
RUP - Responsabile Unico del Procedimento – geom. Andrea Filippi  (2004 - 2016),
DL - Direttore dei Lavori – ing. Mauro Marini  (2004 - 2016)
Collaudatore delle strutture – ing. Mauro Niccolai
Collaudatore tecnico amministrativo – ing. Mauro Niccolai  (2007 - 2016)
Collaudatore tecnico amministrativo – ing. Vasco Antonelli  (2007 - 2016)
Collaudatore tecnico amministrativo – ing. Maurizio Verzoni  (2007 - 2016)
(inizio incarico di collaudo: gen. 2007 – fine collaudo ago 2016)

Normative applicabili:
Fino al 8 giugno 2011
DPR 21 dicembre 1999, n. 554 - Regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni (G.U. n. 98 del 28 aprile 2000)
Dopo l’8 giugno 2011
D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 - Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, «Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive CE (G.U. n. 288 del 10 dicembre 2010)
Dopo il 19 aprile 2016
Decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 - Attuazione delle direttive UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione e  sugli appalti pubblici (G.U. n. 91 del 19 aprile 2016)
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - 
Possibili irregolarità riscontrate:
1) “Sospensioni dei lavori”  miracolose, strampalate, fantasma e postume
2) Mancata esecuzione dell’importante e costoso impianto fotovoltaico previsto dal contratto.
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - 
1) “Sospensioni dei lavori” - miracolose, strampalate, fantasma e postume

1.1 - Miracolose
Si tratta di ben novesospensioni dei lavori” per un totale di 2.403 giorni (sei anni e mezzo) all’interno di un appalto con durata contrattuale di tre anni, ma in effetti durato ben nove anni e mezzo.
Termine ultimazione contrattuale  30/12/2008  (pag. 22 del collaudo) – Totale sospensioni dei lavori: giorni 2,403 (pag. 24 del collaudo) - nuovo termine di ultimazione: 31/7/2015 (pag. 24 del collaudo) Ultimazione dei lavori: 21/7/2015  (pag. 25 del collaudo), quindi dieci giorni prima del nuovo termine prorogato di 2.403 giorni rispetto a quello contrattuale.
Il miracoloso sta nel fatto che nonostante la ditta abbia terminato i lavori con sei anni e mezzo di ritardo sul termine contrattuale, queste chilometriche e quasi tutte non motivate (nel collaudo) e, come vedremo, non rispettate  sospensioni, hanno fatto il miracolo di far sì che, secondo il collaudo, la fine dei lavori risulti avvenuta addirittura dieci giorni prima  del nuovo termine che, conteggiando le infinite sospensioni, era anch’esso slittato di sei anni e mezzo. Senz’altro un miracolo.

1.2 - Strampalate
Gli stessi collaudatori ne danno atto nel collaudo quando, parlando della seconda sospensione di 384 giorni, ammettono addirittura: debbono intendersi sospesi i lavori sebbene non sia stato reperito lo specifico verbale.  Sospensione giorni 384 (pag. 23 collaudo).
Poco dopo, a commento finale del capitolo “sospensioni” così riassumono l’incresciosa situazione: "sospensioni ricostruite dagli atti pubblici in quanto non si ha l’esatta corrispondenza con quanto riportato nella relazione sul conto finale (pag. 24 collaudo) e poi alcuni verbali sono irritualmente sprovvisti di firma da parte dell’impresa (pag. 24)
Di tutte le altre sospensioni (nove in tutto) non si dice nell’intero collaudo, assolutamente nulla. Nulla sull’effettiva esistenza dei verbali di sospensione, NULLA sull’esistenza dei verbali di ripresa dei lavori, Nulla sulle date di emissione dei verbali. Nulla sulle loro sottoscrizioni. Nulla sull’esistenza di eventuali motivazioni. Nulla di nulla, quando invece le norme (e soprattutto la trasparenza e il buon senso) prescrivono che questi dati essenziali per valutarne l’autenticità e attendibilità, siano esplicitamente citati nel collaudo.
Del tutto incomprensibile

1.3 - Fantasma
- Perché è incerto anche oggi se e quali su questi verbali di sospensione esistano (uno certamente, come detto nel collaudo, no),  se siano firmati e se siano regolari e motivati. In pratica anche dopo il collaudo restano oggetti completamente misteriosi.
- Perché in effetti mai considerate e mai rispettate dalla ditta, che, almeno durante alcune di esse, ha sempre continuato a lavorare a pieno ritmo. come risulta dalle lettere della ditta stessa , dagli ordini di servizio della DL, dalle ordinanze del Comune e dagli articoli dei giornali.
Del tutto incomprensibile
Riepilogo di tutte le sospensioni  (n. 9 sospensioni per complessivi 2.403 giorni !!!)
Articoli di giornale durante la sospensione n. 6 di 334 giorni ( dal 1 nov. 2009 al 1.ott 2010)
che provano oltre ogni ragionevole dubbio come la ditta lavorasse a più non posso durante la sospensione.
Ordini di servizio e lettere della ditta durante la sospensione n. 6 di 334 giorni ( dal 1 nov. 2009 al 1.ott 2010)
che provano oltre ogni ragionevole dubbio come la ditta lavorasse a più non posso durante la sospensione.

1.4 - Postume
- Perché all’epoca di sicuro nessuno le conosceva, anzi nessuno ne aveva mai sentito parlare, né la ditta, né il RUP, né il direttore dei lavori, come risulta dalle lettere della ditta e dai numerosi ordini di servizio della DL. (vedi sopra) 
dove MAI si accenna all’esistenza di una sospensione in corso, e invece si discute solo ed esclusivamente degli innumerevoli lavori in quel momento IN CORSO.
Del tutto incomprensibile

1.5 - Eventualità del tutto ipotetica che potesse trattarsi di sospensioni parziali
Un ipotesi pressoché inesistente, in quanto tale parzialità che comunque avrebbe dovuto risultare dai verbali di sospensione che, come visto alcuni mancano, altri sono irregolari, non è MAI richiamata  in nessun documento contrattuale, in nessuna lettera della ditta, in nessun ordine di servizio, in nessuna parte del collaudo.
In Ogni caso anche nelle denegata ipotesi che si potesse trattare di “sospensioni parziali” si sarebbe dovuto considerare nel tempo trascorso almeno la quota parte proporzionale di giorni impiegati nelle opere non sospese. Infatti la norma (Art. 24 comma 7 -  DM Ministero dei lavori pubblici - 19 aprile 2000, n. 145) prevede che:  “la sospensione parziale dei lavori determina il differimento dei termini contrattuali pari ad un numero di giorni costituito dal prodotto dei giorni di sospensione, per il rapporto tra ammontare dei lavori non eseguiti per effetto della sospensione parziale e l'importo totale dei lavori previsto nello stesso periodo.
Quindi, anche nell’ipotesi (pur inesistente) che si trattasse di sospensioni parziali (ma i collaudatori hanno già certificato di no), si dovrebbero comunque ridurre i 2.403 giorni totali ad un numero notevolmente inferiore, proporzionale ai soli lavori parziali effettivamente sospesi e non eseguiti dalla ditta; e, vista la mole impressionante e provata di lavori invece non effettivamente sospesi,  le conseguenze sul conteggio dei giorni e quindi dei ritardi e quindi delle penali sarebbero rilevantissime.

2) Mancata esecuzione dell’importante e costoso impianto fotovoltaico, previsto dal contratto

2.1 - L'impianto fotovoltaico che doveva essere realizzato per alimentare i servizi del PORTO era un impianto da 34 KW con 144 pannelli posti sulle coperture. Un grosso impianto. Molto importante, utile e costoso. Molto costoso, oltre 100 mila euro.
Ammettono i collaudatori: è mancato il rispetto di una delle motivazioni della variante del progetto definitivo, poiché non è stato installato l’impianto fotovoltaico per produzione di energia elettrica, previsto progettualmente anche nella variante di stato finale (tuttavia l’impianto non compare nella situazione di conto finale). (pag. 41 del collaudo)
L’ultimo inciso (fra parentesi) è ovviamente circostanza del tutto irrilevante, non solo perché non sarebbe certo un buon motivo per non eseguire un’opera compresa nell’appalto, ma anche e soprattutto perché in questo appalto il corrispettivo corrisposto alla ditta dal Comune, non aveva nulla a che fare col conto finale, ma era costituito “a corpo” dalla concessione trentennale del porto. Quindi la mancata esecuzione di quell’impianto, senza corrispondente riduzione della durata della concessione, costituisce per il Comune una perdita secca.
Che quell’impianto fosse compreso nell’appalto è pacifico per tutti: per i Collaudatori, come si è visto, ma anche per il  RUP che l’ha inserito fra gli allegati della sua relazione finale
e per la Giunta Comunale, che l’ha esplicitamente confermato nella variante di stato finale a consuntivo (Delibera di Giunta Comunale n. 215 del 22/12/2014)
E allora, visto che l’appena accennata mancata contabilizzazione è completamente irrilevante, quale sarebbe la giustificazione - esposta in collaudo - di questa mancata esecuzione, che induce i collaudatori ad accettarla senza problemi e a collaudare l’opera senza prescrizioni e senza compensazioni per il Comune?
NESSUNA
Del tutto incomprensibile, anzi inconcepibile.

3) Effetti di queste possibili irregolarità

3.1 - Sui ritardi e conseguentemente sulle penali
Il capitolato programma prestazionale allegato al contratto di appalto
prevedeva all’art. 13 quartultimo capoverso un tempo di ultimazione massimo di 36 mesi, e al terzultimo capoverso una penale per ogni giorno di ritardo pari ad 1/1000 dell’importo dell’appalto, con un massimo del 10% dell’appalto stesso.
A seguito del non riconoscimento di alcuni di questi 2.403 giorni sospensioni, il ritardo della ditta potrebbe facilmente lievitare fino a 100 giorni e oltre. In quel caso il mancato incasso da parte del Comune per le penali previste dal Contratto (circa 35.000 euro per ogni giorno di ritardo) potrebbe facilmente arrivare (basterebbero 100 giorni di sospensioni riconosciute irregolari sui 2.403 giorni accordati)  fino al  massimo previsto dal capitolato speciale, e cioé fino a circa 3 milioni e mezzo di euro.

3.2 - Sul minor valore dell’opera pubblica
La mancata esecuzione dell’impianto fotovoltaico deprezzerebbe l’opera pubblica di un valore imprecisato, ma sicuramente non inferiore ai 100 mila euro.

4) Compiti delle parti

4.1 - Compiti del RUP
- Assicurarsi che i verbali di Sospensione siano esistenti, tempestivi, motivati e sottoscritti.
- Assicurarsi che la ditta completi TUTTE le opere comprese nell’appalto.
- Segnalare le anomalie all’Autorità di vigilanza. In particolare: “Quando la sospensione supera il quarto del tempo contrattuale complessivo il responsabile del procedimento dà avviso all’Autorità.” (Art. 133 comma 9 Decreto del Presidente dellaRepubblica 21 dicembre 1999, n. 554 –  invariato dopo l’8.6. 2011 -   art. 158 comma 9 d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207). Il RUP doveva quindi obbligatoriamente segnalare all’Autorità di Vigilanza il superamento dei 273 giorni di sospensione (1/4 di tre anni), avvenuto già nel 2007.  Il collaudo non riporta i dati di questa segnalazione, pur essenziale.

4.2 - Compiti del Direttore dei Lavori
- Verbali di Sospensione esistenti, tempestivi, motivati e sottoscritti e relativi verbali di Ripresa dei lavori.
- Ordini precisi alla ditta affinché completi TUTTE le opere comprese nell’appalto, adottando in caso contrario le misure coercitive consentite dalle norme.

4.3 - COMPITI DEI COLLAUDATORI IN CORSO D'OPERA

(inizio incarico gen. 2007 – fine collaudo ago 2016)
- Trascrizione nel processo verbale di visita delle  date dei processi verbali di sospensione e di ripresa dei lavori(art 194, comma 1, lettera g) del DPR 21 dicembre 1999, n. 554)
- Valutazione di tutti i documento contrattuali sia dal punto di vista della regolarità formale che di quella sostanziale. Non è certo consentita un’acquisizione acritica ad occhi bendati.
- Nel collaudo in corso d’opera, i collaudatori, già in campo dall’inizio dei lavori, quando effettuano sopraluoghi sul cantiere, durante periodi di sospensione dei lavori, sono poi obbligati a valutare l’osservanza effettiva o meno di quelle sospensioni e nel caso abbiano avuto comunque conoscenza, anche diretta, della loro mancata osservanza,  a detrarre quelle sospensioni dal conteggio del tempo utile d’appalto.
- Accertamento dell’esecuzione completa e regolare da parte della ditta di tutti i lavori previsti dal contratto di appalto. In caso di inadempienza della ditta: Collaudo negativo o applicazione di penale o sanzione a carico della ditta e a favore dell’Ente pubblico committente, equivalente all’importo delle opere non eseguite.

4.4 - Compiti dell’Amministrazione Pubblica
- Valutare la credibilità degli atti contrattuali e di collaudo e le eventuali irregolarità, quantomeno quelle così evidenti da essere facilmente percepibili anche da un profano.
- Segnalare - nei casi di irregolarità evidenti e lesive del patrimonio pubblico – senza indugio e senza reticenze, queste circostanze alle Autorità preposte, di vigilanza, giudiziarie e contabili.
- - - - - - - - - - - - - -
CONCLUSIONE
Si evidenzia quanto sopra documentalmente illustrato affinché sia valutata, da chiunque abbia la responsabilità di farlo, anche all'interno del Comune, la possibile non regolarità delle procedure e delle circostanze esposte, e, in caso affermativo,  la possibile sussistenza di eventuali danni erariali conseguenti.

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Si da conto, di seguito, trascritte dagli appunti presi in Consiglio, e in attesa del verbale completo,  di alcune spiegazioni e considerazioni inviate dal RUP Filippi all'assessore al porto Antonio Russo e da questi lette in Consiglio Comunale in risposta all' interrogazione presentata dal gruppo consiliare di Assemblea Sanvincenzina, nella seduta del 17/2/2017, con le relative repliche.
- - - -
1) Riferisce Russo, citando Filippi: Tutte le sospensioni sono state “esaurientemente motivate” nei relativi verbali. 
.
REPLICA: I tre collaudatori dicono invece di avere reperito solo pochi verbali, alcuni nemmeno firmati, che hanno dovuto ricostruire le sospensioni da altri atti, e quasi mai hanno trovato le motivazioni, che infatti non hanno MAI potuto citare e non hanno MAI riportato nel certificato di collaudo.

Alcune motivazioni riferite dal RUP per la sospensione di un anno (per la modifica della flotta tipo) e poi di tre anni (per la redazione della perizia finale) appaiono molto divertenti e creative, ma provi a chiedere all’ANAC se quelle sono motivazioni ammissibili per sospendere un appalto pubblico, non per un mese, ma addirittura per quasi cinque anni. Ci provi e poi ci risentiamo.

2) Riferisce Russo: “Il DL aveva attestato il 19/11/2011 l’avvenuta ultimazione dei lavori”. 
.
REPLICA: Peccato che i collaudatori non ne abbiano mai saputo nulla e che invece a loro risulti che il DL abbia attestato la fine dei lavori 4 (quattro) anni più tardi: il 21 luglio del 2015. Mistero della fede!

3) Riferisce Russo: I tre anni e rotti di sospensione per la perizia finale sono stati colpa dei collaudatori che hanno preteso la “regolarizzazione” di tutte le enormi modifiche apportate all’appalto, nonostante che il RUP fosse stato “d’accordo” (a voce?) e quindi (secondo lui) non ce ne fosse bisogno. Certo se il RUP, a voce, era d’accordo…. 
.
REPLICA: Allibito. Senza parole!

4) Riferisce Russo: Le sospensioni erano “integrali” e non parziali e quindi “resta difficile” pensare che la ditta possa aver lavorato durante le sospensioni.
.
REPLICA: non è che “resti difficile pensare” … è proprio sicuro (visto di persona, raccontato dai giornali, provato dagli ordini di servizio del DL e del RUP) che la ditta abbia lavorato, eccome, durante le sospensioni. Altro che “resta difficile”… Ma via!

5) Riferisce Russo: “la ditta avrebbe avuto diritto a una proroga”.
.
REPLICA: se la ditta non l’ha mai chiesta e il RUP non gliel’ha mai accordata, ci saranno delle ragioni, no? A che serve dire ora… “avrebbe avuto diritto a una proroga”? A un bel niente.

6) Riferisce Russo: Se una ditta lavorasse durante le sospensioni “sarebbe da ammirare”.
.
REPLICA: superato l’imbarazzo di sentire un tale sproposito, si può rispondere ovviamente che il RUP è liberissimo di ammirare la sfacciataggine della ditta, ma di certo non può conteggiare i giorni che la ditta ha trascorso a lavorare, allungando il tempo contrattuale previsto per terminare i lavori, e scansando così le penali. Troppo comodo sarebbe (per la ditta). Vero RUP?

7) Riferisce Russo: le penali sono solo “un deterrente” perché la ditta si sbrighi a lavorare. Mica devono poi essere applicate sul serio a fine lavori, specie se il danno del ritardo ricade principalmente sulla ditta stessa.
.
REPLICA. Superato l’imbarazzo per questa originale teoria, si fa notare che se la ditta sa già fin dall’inizio che l’opinione (e l’intenzione) della DL e del RUP è questa, anche il “deterrente” va a farsi friggere. Vero?

8) Sulla mancata esecuzione dell’ IMPIANTO FOTOVOLTAICO DEL PORTO, con conseguente danno per il Comune di oltre 100 mila euro, a dir poco, di minor valore dell’opera, NULLA è stato spontaneamente comunicato. Eppure sappiamo tutti che quella era una delle principali contestazioni al collaudo. 
.
Forse c’era ben poco che si potesse dire. Non pare esistere infatti alcuna possibile RAZIONALE giustificazione.
- - - - - - - - - - - -




Archivio blog